Capo Peloro è una pacifica lingua sabbiosa all’estrema punta nord di Messina; secondo numerose leggende, sarebbe da sempre abitata da divinità ed esseri mostruosi. In quanto porta di accesso alla Sicilia, considerata terra di meraviglie, era prima di tutto la dimora di Cariddi, il mitico mostro marino della mitologia greca, grande quasi la metà della città di Roma. La sua infinita voracità lo portava a risucchiare l’acqua del mare per poi rigettarla (fino a tre volte al giorno), creando così enormi vortici che affondavano le navi in transito. Ma sarebbe anche la dimora del giovane Peloro, trasformato per gelosia in Gigante da Poseidone, e della Dea Peloria, signora delle acque e dea delle paludi. Storie e leggende nate nell’antichità per spiegare sconosciuti fenomeni naturali (come le correnti marine) ed eventi traumatici come eruzioni e terremoti.
La Laguna di Capo Peloro
Il punto d’ingresso nord dello stretto di Messina è La laguna di Capo Peloro, luogo di incontro tra il Mar Ionio e il Mar Tirreno. La sua formazione risale a circa 4 millenni fa, grazie all’azione dei venti e delle forti correnti marine: il moto ondoso ha creato una sorta di cordone litorale, (racchiudendo una porzione di mare), e i detriti portati dai torrenti che un tempo scendevano dalle colline hanno favorito l’interramento dell’area e la sua suddivisione in 4 laghi salmastri. I Fenici prima e i Romani poi costruirono una serie di canali tra i laghi, creando un passaggio navale, dallo Ionio al Tirreno senza passare dallo Stretto. Ciò permetteva alle imbarcazioni e ai marinai di evitare i terribili gorghi di Cariddi e gli scogli aguzzi di Scilla. I venti e le forti correnti marine modificano continuamente la conformazione delle spiagge, che muta di anno in anno. Oggi restano solo 2 dei 4 “pantani” originari: il Lago di Ganzirri e il Lago di Faro, due piccoli ecosistemi che fanno della Laguna di Capo Peloro un’area naturale protetta.
La Dea Madre Peloria
Capo Peloro deve il suo nome dalla parola greca Pèlor (Πελωρ) che significa portento, prodigio, e identifica quindi qualcosa di straordinario, non convenzionale, spesso maestoso e gigantesco, a volte mostruoso. In quanto porta di accesso a quella terra meravigliosa e terrificante che sputa fuoco, trema e modifica continuamente la sua forma, Capo Peloro divenne oggetto di miti e leggende che hanno per protagonisti creature straordinarie. Il racconto più antico è quello della Dea Madre Peloria, signora delle acque paludose dall’aspetto gigantesco, dominatrice di una regione selvaggia in cui si praticavano culti misteriosi. Simbolo della dea è, ancora oggi, la conchiglia Pinna Nobilis (nello stretto chiamata appunto Peloria), molto diffusa e, per dimensioni, la più grande del Mediterraneo. Dai filamenti di questo mitile, si ricavava una morbida fibra dal colore bruno-dorato, che veniva utilizzata per realizzare una pregiata tela dorata chiamata “bisso”, degna di re e principesse e commerciata in tutto il Mediterraneo. Il mito della Dea Peloria si tramanda nei secoli fino a legarsi alla storia: la dea viene infatti raffigurata per la prima volta su alcune monete coniate dalla zecca di Messana (l’antica Messina) alla fine del V secolo a.C.
Peloro, Il Gigante innamorato
Una seconda leggenda ci parla di come la Sicilia fu staccata dal resto della penisola a causa dell’ira del Dio Poseidone. Peloro era un giovane e bellissimo pescatore dai capelli color oro (Pel-oro), che era solito pescare su una spiaggia della penisola. Un giorno, su una rupe vicina, vide Scilla, una splendida fanciulla con la voce di sirena, e se ne innamorò. Ammaliato dal canto della fanciulla, Peloro salì sulla rupe e Scilla, alla vista del giovane, si innamorò a sua volta. Ma questo amore scatenò la gelosia della maga Circe, invaghita del giovane pescatore, e le ire di Poseidone (il dio del mare) innamorato di Scilla. Con un colpo del suo spietato tridente Poseidone staccò la terra di Sicilia dal resto della penisola, dividendo i due innamorati. Le acque ioniche e tirreniche si scontrarono formando lo Stretto di Messina. Scilla da un lato, fu trasformata in uno scoglio, e Peloro, dall’altro, in lingua di sabbia e paludi, condannati ad essere divisi per l’eternità. Così Peloro tenta ancora oggi di allungare il più possibile le bianche braccia sabbiose, cercando di raggiungere il suo disperato, roccioso amore, dall’altra parte del stretto.
Risa, l’Atlantide di Sicilia
Nelle profondità fangose del Lago di Torre Faro, ancora oggi è possibile osservare una struttura rocciosa lunga circa 50 metri, che si pensa possa essere di fattura umana. Secondo la leggenda, prima che il lago si formasse, il suo posto era occupato da una antica cittadina molto fiorente, dalle bianche mura in pietra, chiamata Risa, dal nome della principessa che la regnava. Un fortissimo sisma, o un incantesimo, distrusse la città, uccidendo tutti i suoi abitanti e facendo sprofondare la città per parecchi metri. Nel corso degli anni, la depressione del terreno fu riempita dall’acqua, fino alla formazione del lago di Torre Faro. La leggenda racconta che prima dell’arrivo di una burrasca, la campana del tempio di Risa suonerebbe per avvertire i pescatori del pericolo. In molti infatti, dicono che “si sona a campana i Rrisa e megghiu non pigghiari pi fora”.
Elena Di Maio – Messina Post