A Messina si chiude un capitolo cruciale nel processo contro il clan mafioso di Barcellona Pozzo di Gotto. Il procuratore aggiunto Vito Di Giorgio ha invocato pene durissime per i protagonisti dei 13 omicidi di mafia svelati dall’operazione Inganno, condotta lo scorso 10 gennaio. Le richieste si abbattono come un macigno su capi e affiliati del clan, senza risparmiare nemmeno chi ha scelto di collaborare con la giustizia.
Al vertice delle accuse ci sono il boss storico Giuseppe Gullotti e il reggente Sam Di Salvo, per i quali è stato chiesto l’ergastolo. Seguono richieste di 30 anni per Stefano Genovese, Vincenzo Miano, Carmelo Mastroeni e Giuseppe Isgrò. Tra i collaboratori di giustizia, Carmelo D’Amico rischia 15 anni, mentre per Salvatore Micale sono stati chiesti 12 anni di reclusione.
A valutare le richieste sarà la giudice per l’udienza preliminare Arianna Raffa, che ascolterà anche i numerosi avvocati della difesa.
L’operazione Inganno: delitti e collaborazioni
Denominata “Inganno” per il macabro stratagemma che portò all’assassinio di Antino Accetta e Giuseppe Pirri nel 1992, l’operazione ha sollevato il velo su delitti rimasti a lungo impuniti. I corpi dei due giovani, puniti con la morte per piccoli furti, furono ritrovati all’ingresso del cimitero di Barcellona, sotto un altare di pietra, in una scena che sconvolse l’opinione pubblica.
Oltre a fare luce su quei crimini, l’indagine ha registrato un evento inaspettato: la collaborazione di Sam Di Salvo con la giustizia. Dopo anni di silenzio al regime di 41 bis, Di Salvo ha iniziato a fornire dichiarazioni, smentendo in parte Carmelo D’Amico e rivelando dettagli inediti sui delitti. Anche Carmelo Mastroeni, legato a Di Salvo, ha ammesso il proprio coinvolgimento, dichiarando di aver agito per paura di ritorsioni.
Le rivelazioni hanno aperto nuovi scenari, ma la linea dura dell’accusa lascia pochi margini di manovra per gli imputati. La sentenza attesa potrebbe scrivere un’ulteriore pagina nella lotta alla mafia messinese.